sabato 30 aprile 2011

Aprile: Torta di Carote

Sono le 23.55 di sabato 30 aprile... lotto con una connessione che stasera non ne vuole proprio sapere, ma non posso e non voglio mancare al mio appuntamento dolciario.
Per il momento, dati i vari problemi tecnici mi limiterò a postare solo gli ingredienti, domani arriverranno anche le foto e la storia della torta del mese...
intanto per la serie Una Torta al Mese.... Torta di Aprile:

Torta di Carote!!!!
Una vera delizia!

Ingredienti:
250gr di carote
250gr di farina
100gr di burro di soya
3 cucchiai di olio di semi
3 cucchiai di miele
1/2 bustina di lievito
una manciata di uvetta
mandorle tritate a piacere

Grattugiare le carote e mescolare insieme gli altri ingrdienti. Imburrare una teglia per dolci e infornare a 180° per 30-40 minuti.
Una volta cotta, lasciare raffreddare e spolverare con dello zucchero a velo.

domenica 17 aprile 2011

mercoledì 13 aprile 2011

Riflessioni


Credo di essere stata un po' troppo frettolosa... Frettolosa nel pubblicare la storia dei Grimm senza neanche una riga di spiegazione.
Anzi ho fatto di peggio, sulla mia pagina fb ( siete tutte/i invitati a diventare miei amici!!! :p) insieme al link ho scritto il seguente commento :
In questi giorni in asilo si racconta e si rappresenta questa fiaba.
Insomma per chi legge il commento e poi legge la storia immagina che io sia una quasi-maestra ( quasi perchè ancora non sono "di ruolo", tengo i bimbi al pomeriggio e mi sento ancora in fase di apprendista, apprendista che ogni giorno impara e sperimenta qualcosa di nuovo) terribile!!! Ma come racconti ai bambini e rappresenti addirittura una storia così crudele?!? povero topino, ma che fine indegna! e il gatto... veramente un prepotente!

Prima di tutto vorrei fare una premessa: vi racconto un po' del mio lavoro-tirocinio-apprendistato. Da settembre alla scuola waldorf, all'asilo, è stato istituito il prolugamento; si dà cioè la possibilità a quei genitori che lavorano tutto il giorno e non hanno a chi lasciare i figli il pomeriggio, di poter tenere i bambini a scuola fino a metà pomeriggio.
In questo arco di tempo di doposcuola, i bambini hanno bisogno di riposare o comunque di trovare uno spazio di quiete dopo tutta l'attività mattiniera. E' per questo motivo che da qualche mese a questa parte abbiamo deciso di fare un piccolo teatrino raccontando una storia con personaggi fatti a mano.
Fin'ora il compito del teatrino era affidato alla persona che lavora insieme a me. Lei raccontava la storia e muoveva i personaggi; io rimanevo invece seduta con i bimbi a godermi la storia.
Ma questa settimana abbiamo deciso di invertire i ruoli.
Così mi sono messa alla ricerca di una storia. - Fine della premessa-

Devo dire che appena ho letto la storia del gatto e del topo, sono rimasta un po' perplessa anch'io e mi sono fatta una serie di domande super moralistiche. Mi piaceva il fatto che dovevo creare solo due personaggi, più un pò di lana in un pentolino per lo strutto, ma mi lasciava molto ma molto perplessa il finale della storia.
Così ne ho parlato con la mia "collega" (mi suona buffo chiamarla così), una persona veramente in gamba con un sacco di esperienza con bambini piccoli e non, in contesti steineriani e non.
Le ho raccontato la storia e lei l'ha trovata subito adatta e mi ha semplicemente detto:"non è necessario che le storie finiscano bene".
Ho cercato perciò di lasciare da parte le mie idee super morali e in questi giorni ho cominciato a raccontare la storia ai bambini.

E il risultato è mirabile.
I bambini sono fantastici ( si lo sapevo di già, ma ogni volta scoprirlo di nuovo mi dà gioia) e per fortuna non hanno ancora la nostra visione corrotta e morale.
Loro si divertono tantissimo ad ascoltare questa fiaba. Rimangono sulle spine tutte le volte che il gatto deve uscire per andare a battezzare il nuovo nipotin; ridono a crepapelle quando invece dice il nome dei nuovi battezzati "pellepappata", "mezzopappato", "tuttopappato";si arrabbiano invece con il gatto quando và a leccarsi tutto lo strutto del pentolino e gli dicono di non farlo ( si, lo dicono proprio al gatto) altrimenti diventa ciccione.
E poi alla fine il gatto si mangia il topo. Si, perchè da che mondo è mondo i gatti si mangiano i topi. E per loro è la cosa mi normale del mondo.
Ma i bambini non si identificano nel gatto, riconoscono che il gatto è veramente un furbone approfittatore e delle bugie raccontate al topo: prima gli mangia tutto lo strutto e poi va a finire che si pappa pure il topo, perchè i gatti si mangiano i topi per natura... il contrario sarebbe molto più strano.

Siamo noi adulti che mettiamo un sacco di giudizi e critica sulle fiabe. E criticando o giudicando ci soffermiamo solo ad un livello superficiale, quando invece ogni fiaba ha un suo livello simbolico-spirituale che va al di là del suo aspetto "esteriore".
Tante volte ho letto blog di mamme in cui si dichiarava la non passione per le fiabe dei fratelli grimm perchè magari le figure femminili fanno lavori umili oppure perchè hanno perso i genitori o ancora perchè c'è una qualche figura archetipica che cozza un po' con la nostra morale moderna di buonismo.
Ma appunto sono archetipi. Hanno cioè una valenza simbolico spirituale che lavora dentro di noi, e a maggior ragione dentro i bambini, a livello animico di cui noi razionalmente non ci rendiamo conto. Ed è invece la parte più importante.
Ci sono addiritture fiabe curative, si portano cioè determinate fiabe a determinati bambini in modo che gli elementi della fiaba vadano a lavorare sulle forze animiche del bimbo che ne ha bisogno.

A questo punto mi sento in dovere di fare un grande ringraziamento ad Anna, la quale con il suo commento mi ha permesso di chiarire e chiarirmi le idee e speculare con un po' di riflessioni pseudo-antroposofiche.
Grazie!


foto tratta dal sito bordighera.net

Gatto e Topo in Società

Un gatto
aveva fatto conoscenza con un topo



e gli aveva tanto vantato il grande amore e l’amicizia che gli portava, che alla fine il topo acconsentì ad abitare con lui; avrebbero governato insieme la casa.



“Ma per l’inverno dobbiamo provvedere, altrimenti patiremo al fame,” disse il gatto, “e tu, topolino, non puoi arrischiarti dappertutto sennò finirai col cadermi in trappola!” Il buon consiglio fu seguito e comprarono un pentolino di strutto. Ma non sapevano dove metterlo; finalmente, pensa e ripensa, il gatto disse: “Non so dove potrebbe essere più al sicuro che in chiesa; là nessuno osa commettere un furto: lo mettiamo sotto l’altare e non lo tocchiamo prima di averne bisogno.” Il pentolino fu messo al sicuro ma il gatto non tardò ad avere voglia di strutto, e disse al topo: “Volevo dirti, topolino, che mia cugina mi ha pregato di farle da compare: ha partorito un piccolo, bianco con macchie brune, e devo tenerloa battesimo. Lasciami uscire oggi e sbriga da solo le faccende di casa.” - “Va bene,” rispose il topo, “va pure e se mangi qualcosa di buono pensa a me: un goccio di quel rosso vino puerperale lo berrei volentieri anch’io!” Ma non c’era niente di vero: il gatto non aveva cugine nè l’avevano richiesto come padrino. Andò dritto in chiesa, si avvicino quatto quatto al pentolino di strutto, si mise a lecccare e lecco via la pellicola di grasso. Poi se ne andò a zonzo per i tetti della città per tutto il resto della giornata: si guardò intorno, si mise steso al sole e continuava a leccarsi i baffi ogni qualvolta pensava al pentolino. Non ritornò a casa che alla sera. “Eccoti qua,” disse il topo, “hai di certo passato una giornata allegra. Che nome hanno messo al piccolo?” - “Pellepappata,” rispose il gatto tutto d’un fiato. “Che strano nome,” disse il topo, “è frequente nella vostra famiglia?” - “Che c’è di strano,” rispose il gatto, “non è certo peggio di Rubabriciole, il nome dei tuoi figliocci!”

Poco tempo dopo al gatto tornò la voglia di strutto. Così disse al topo: “Devi farmi un’altra volta il piacere di badare alla casa da solo; mi vogliono di nuovo come padrino e siccome il piccolo stavolta ha un cerchio bianco intorno al collo, non posso rifiutare.” Ancora una volta il topo acconsentì, e di nuovo il gatto corse di soppiatto fino alla chiesa e finì col divorare metà del contenuto del pentolino. “E’ proprio vero: nulla è più gustoso di quello che si mangia da soli” ed era tutto contento della sua giornata quando al tramonto rientrò a casa. Il topo gli chiese della giornata appena trascorsa e poi: “Questo piccolo qui come l’avete chiamato?” - “Mezzopappato,” si lasciò scappare il gatto. “Mezzopappato! che razza di nome,” esclamò il topo, “sono sicuro che non esiste nemmeno sul calendario!”

Ben presto al gatto tornò l’acquolina in bocca e, poichè non c’è due senza tre, disse al topo: “Devo fare di nuovo il padrino. Questa volta il piccolo è tutto nero e ha solo le zampe bianche: in tutto il resto del corpo non ha un solo pelo bianco. Questo capita solo una volta ogni due anni: mi lasci andare?” - “Pellepappata e Mezzopappato,” rimuginò il topo a voce alta, “sono nomi che mi impensieriscono!” - “Tu te ne stai col tuo giubbone grigio scuro e la tua lunga coda tappato in casa, e va a finire che ti monti la testa! Succede così quando non si esce mai!” disse il gatto risentito e uscì. Quel golosone del gatto arrivò in chiesa e ovviamente divorò utto il pentolone di strutto: “Solo quando si è finito tutto si sta in pace!” disse a se stesso e tornò a casa solo a notte fonda e ben pasciuto. Il topo, che nel frattempo aveva sbrigato tutte le faccende e rimesso in ordine la casa, anche questa volta gli chiese che nome avessero dato al terzo piccino. “Beh, non ti piacerà di certo,” disse il gatto, “si chiama Tuttopappato!” - “Tuttopappato, certo che è proprio un nome bizzarro, io non l’ho mai visto scritto. Che vorra mai dire?” ma poichè era stanco scosse il capo, si acciambellò e si addormentò.

Da allora più nessuno chiese al gatto di fare da padrino. Giunto l’inverno, quando ormai fuori non si trovavapiù nulla, il topo si ricordo della loro provvista di strutto e disse: “Vieni gatto, andiamo dove abbiamo messo in serbo il nostro pentolino di grasso, ce la godremo.” - “Certo,” rispose il gatto aggiungendo tra sè e sè “te la godrai come a mangiar aria fritta!” Si missero in cammino e quando arrivarono la pentola era ancora al suo posto, ma completamente vuota. “Ah,” esclamò il topo, “ora capisco quel che è successo, ora mi è tutto chiaro. Bell’amico che sei! Hai divorato tutto quando hai fatto da compare: prima pellepappata, poi mezzopappato poi...” -



“Vuoi tacere,” disse il gatto, “ancora una parola e ti mangio!”

“Tuttopappato,” finì di dire in quell’istante il topo. Così il gatto con un balzo l’afferrò e ne fece un sol boccone.



Vedi, così va il mondo.

FINE ( Fiaba dei fratelli Grimm)